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Cavoli e focaccette

cavoli

Lo sapevate che il cavolo veniva coltivato nei nostri Paesi ben più di 4000 anni fa? L’ho scoperto andando a curiosare su trattati botanici risalenti al 1700 in cui parla di questa pianta come di un eccellente mezzo terapeutico. Da Catone il Vecchio che ne consigliava l’applicazione sulle eruzioni, su artriti e piaghe ( lo impiegò addirittura contro la peste!), ai Romani che se ne servivano per medicare le loro ferite, l’utilizzo del cavolo non solo come alimento è stato riscontrato anche in tempi a noi più prossimi: dagli imperatori di Germania Massimiliano II e Rodolfo che lo usavano contro la tosse e ulcerazioni, ai benedettini del XVIII secolo che se usavano il succo come cicatrizzante, astringente, nella medicazione delle scottature e anche contro i “vermi”.

Gennaio è la stagione della raccolta dei cavoli. Ne esistono ben oltre  un centinaio di varietà orticole che vengono coltivate oltre che a scopo alimentare anche, come piante decorative,grazie a colori e e forme di alcuni esemplari. Esistono anche cavoli selvatici molto diffusi sulle nostre scogliere, dalla caratteristiche tali da risultare però non commestibili.
I cavoli sono non solo terapeuticamente validi ma anche più digeribili se mangiati crudi. In fatti la cottura in acqua disperde molte delle proprietà benefiche  e l’associazione in ricette o contorni con carni e grassi animali rende questi vegetali piuttosto indigesti.
Nella tradizione portofinese i cavoli vengono bolliti, ma proprio per renderli più digeribili vengono conditi oltre che con sale e olio di oliva, anche con aceto di vino o limone. Inoltre è quasi un piatto unico , accompagnato solo da pane o ancora meglio, da focaccette fritte, tipica cena invernale delle famiglie locali. Allora considerando che la lessatura dei cavoli richiede semplici accorgimenti, vi scriverò come si preparano le focaccette “ col buco” , come le chiamavamo da bambini.

FOCACCETTE FRITTE

Dosi:   1 Kg. Farina bianca
            1 cubetto di lievito di birra naturale
            sale q.b.
            3 cucchiaia di olio di oliva
            acqua

Impastare bene tutti gli ingredienti dopo aver ammollato il lievito in un po’ di acqua tiepida. Ottenuto un impasto morbido, lasciare lievitare fasciato in carta oleata e in un canovaccio per almeno due ore. Formare delle frittelle rotonde praticando un foro al centro e friggere in abbondante olio bollente. Per farle gonfiare bene non rigirarle nella padella durante la cottura, ma versare delicatamente sopra di esse l’olio di frittura.  Servire ancora calde e cosparse leggermente di sale.


Mia figlia leggendo questa mia “ disserzione” sul cavolo mi ha recitato una poesia studiata a scuola pochi giorni fa dello scrittore genovese Martin Piaggio :

O COU E A FARFALLA
Unn-a farfalla bella,
lucente ciù che l’ou,
sentendose appetito
a se posò sc’un cou;

Ma in to sussaghe e fugge,
comme angosca, a sbraggio:
“ Ohimè, Che odo cattivo!
Che savo brutto ! Ohibò!”

A questo complimento,
ghe disse o cou piccou:
“ Farfalla, ti e vegnua
d’un gusto delicou!

T’ho conosco piccinn-a
Non coscì ben monta,
quando unn-a gatta ti ei
te davo da mangia:

oh comme ti gustavi
alloa tutte e mae fugge!
Ma de cangia de stato
Ti hae ascì cangiou de veugge!

Vattene, sconoscente,
ma non te ne sta a scorda
che un giorno ti porriesci
ancon gatta torna.”


BIOGRAFIA DELL’AUTORE:
Martin Piaggio nasce nella parrocchia di San Donato di Genova nel 1774. Una vita dedicata al mestiere di mediatore nel Banco di San Giorgio, alla famiglia e a scrivere versi e compilare Lunari: raccolte di critiche e commenti  di cronaca cittadina, mugugni e voci dello spirito popolare. La poetica de Martina Piaggio è quella del buon padre di famiglia, fondata sul criterio del senso comune , sull’equilibrio morale e su una buona cultura. I suoi sono i toni del buon umore, nel suo umorismo in versi  si sente odor di cucina e  di pandolce e il gusto del pettegolezzo regna sovrano.